“Attribuire un ruolo decisivo, nella riforma della giustizia penale, all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio è mera propaganda“. La pensa così il Segretario generale dell’Associazione nazionale forense (Anf), Giampaolo Di Marco che spiega: “Dal 15 ottobre 2020, epoca dell’ennesima ed ultima riformulazione dell’articolo 323 del Codice penale, essa prevede ormai solo l’incriminazione delle condotte dei dipendenti pubblici che non improntino l’azione amministrativa in modo imparziale con conseguente danno economico altrui. Il suo ruolo nel sistema di repressione penale, pur allo stato marginale e residuale, resta funzionale per reprimere le condotte non sanzionabili dagli altri reati più gravi contro la Pubblica amministrazione e per punire quei dipendenti pubblici che non esercitino l’azione amministrativa in modo indipendente ed imparziale nel rispetto dell’articolo 97 della Costituzione”. Ciò detto, continua, i “cosiddetti rimedi preventivi previsti dal legislatore, quali ad esempio i piani anticorruzione o l’adozione della Direttiva Europea 2019/1937 relativa alla protezione di persone che segnalano le violazioni delle norme nazionali o dell’Ue sono di fatto insufficienti a reprimere le condotte illecite di ‘abuso’ dei dipendenti pubblici”.
E sulle intercettazioni: per Di Marco, è “di pregio la parte della riforma relativa alla tutela dei terzi ‘estranei’ all’indagine (rispetto al procedimento in cui esse sono captate) ed i divieti di pubblicazione del loro contenuto introdotti. Insidioso invece il rinvio ai decreti ministeriali, normativa di rango secondario, per l’individuazione delle modalità di archiviazione e conservazione delle captazioni acquisite in pendenza del procedimento penale”.
(11 gennaio 2024)
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